1. Inizio pagina
  2. Contenuto della pagina
  3. Menu principale
  4. Menu di Sezione
Turismo Cultura Eventi
Contenuto della pagina

Giardino Falcone Borsellino

 

trent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio, ricordiamo i nomi di quei cittadini che hanno sacrificato la propria vita in nome della legalità e della lotta alla mafia.

Capaci, 23 maggio 1992
GIOVANNI FALCONE Magistrato                                                                              
FRANCESCA MORVILLO Magistrato
ROCCO DICILLO Agente
ANTONINO MONTINARO Agente
VITO SCHIFANI Agente

Palermo, 19 luglio 1992
PAOLO BORSELLINO Magistrato
AGOSTINO CATALANO Agente
EDDIE WALTER COSINA Agente
VINCENZO LI MULI Agente
EMANUELA LOI Agente
CLAUDIO TRAINA Agente

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Le vite dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono intrecciate fin dalla loro infanzia: entrambi nati a Palermo, sono amici fin da bambini, frequentano il liceo classico e lavorano insieme all’interno del pool antimafia istituito da Antonino Caponnetto nel 1983. Anche le loro morti, per mano di Cosa Nostra, avvengono a pochissima distanza l’una dall’altra: appena 57 giorni.

Falcone, ucciso insieme alla moglie e magistrato Francesca Morvillo e insieme agli agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani, venne fatto saltare in aria con 500 chili di tritolo mentre percorreva l’autostrada A29, che l’avrebbe portato dall’aeroporto di Punta Raisi – oggi rinominato “Aeroporto Falcone e Borsellino” – verso Palermo, all’altezza dello svincolo per Capaci. L’attentato fu ordinato da Totò Riina, corleonese e capo di Cosa Nostra, mentre la bomba venne fatta esplodere da un affiliato, Giovanni Brusca.

Dopo la morte di Falcone, Borsellino, suo grande amico e collega, sapeva che Cosa Nostra avrebbe attentato anche alla sua vita. In un’intervista, riprendendo le parole del poliziotto Antonino – detto Ninni – Cassarà, disse: “Convinciamoci che siamo morti che camminano”.  Consapevole del pericolo, Borsellino tentò di allontanare la scorta e la famiglia, proprio perché temeva di mettere a rischio anche la vita di chi lo circondava. Nonostante questo, egli continuò inesorabilmente le proprie indagini, fino a quando il 19 luglio 1992 un’esplosione non lo uccise insieme ai cinque agenti della scorta Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina, sotto casa della madre in Via D’Amelio a Palermo

Pool antimafia e Maxiprocesso

Falcone e Borsellino lavoravano all’interno di un pool di magistrati istituito nel 1983 da Antonino Caponnetto che aveva lo scopo di frazionare i rischi dei singoli magistrati e avere una visione unitaria del fenomeno mafioso. Grazie anche all’attuazione del metodo Falcone, che consisteva nel risalire ai membri di Cosa Nostra tramite la ricerca degli scambi di denaro, si arrivò al Maxiprocesso di Palermo, un processo per crimini di mafia celebrato tra il 10 febbraio 1986 e il 30 gennaio 1992. Per un evento così eccezionale fu persino costruita un’aula bunker a Palermo di dimensioni tali da poter accogliere un così grande numero di imputati, 475, tutti richiusi in aula durante il dibattimento, in apposite gabbie create allo scopo, e circa 200 avvocati difensori. Per anni l’aula bunker fu un polo mediatico di tutte le televisioni del mondo che seguivano gli sviluppi di quello che in Italia, ma forse ancor di più all’estero, fu riconosciuto come un evento eccezionale conclusosi in cassazione con pesanti condanne, 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione. Per la prima volta si stabilisce che cosa nostra è una struttura malavitosa ben organizzata, mentre prima non era mai stata classificata come tale. Una struttura gerarchica, con un vertice ben definito, comandata da famiglie che si dividono il territorio e decidono la spartizione di affari illeciti in modo sistematico. È la fine del mito dell’impunibilità della mafia.

30 anni dalle stragi: memoria e impegno

All’indomani delle stragi, Palermo e i siciliani si trovarono orfani dei loro paladini contro la mafia. Accusato il colpo, nacquero dappertutto comitati spontanei di semplici cittadini che dicevano di NO a cosa nostra. Decine di manifestazioni partecipate da migliaia di persone, i lenzuoli bianchi stesi ai balconi per testimoniare la voglia di legalità della gente comune. Furono anni di riscatto, di rinascita morale, anni in cui la paura e l’indifferenza lasciavano spazio all’impegno antimafia. Nacquero così associazioni come Libera, nelle quali i ragazzi potessero impegnarsi concretamente, nel lavoro giornaliero, come coltivare le terre confiscate ai mafiosi e farle fruttare in modo solidale. L’impegno delle istituzioni e nelle scuole si moltiplicarono per fare in modo di non dimenticare. Ciò che prima era considerato un tabù, quasi a voler allontanare una verità scomoda da dover ammettere, quella dell’esistenza della mafia, ora diventava dovere civico: discutere in classe e in assemblee e riunioni di impegno, di legalità, di antimafia e diritti per dare ognuno il proprio piccolo contributo, convinti che prima che nei tribunali la mafia si combatte nelle abitudini di ciascuno di noi. Citando le parole di Rita Atria, vittima innocente di mafia, “la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”.

Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie

Libera è una rete di associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout, coinvolti in un impegno non solo “contro” le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta, ma profondamente “per”: per la giustizia sociale, per la ricerca di verità, per la tutela dei diritti, per una politica trasparente, per una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, per una memoria viva e condivisa, per una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione.

Per Libera è importante mantenere vivo il ricordo e la memoria delle vittime innocenti delle mafie. Uomini, donne e bambini che hanno perso la propria vita per mano della violenza mafiosa, per difendere la nostra libertà, la nostra democrazia. Una memoria condivisa e responsabile grazie alla testimonianza dei loro familiari che si impegnano affinché gli ideali, i sogni dei loro cari rimangono vivi. Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, in occasione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, in tanti luoghi del nostro Paese e all'estero, vengono letti tutti i nomi delle vittime innocenti delle mafie. Un lungo elenco, recitato come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai. A partire dal 21 marzo e durante gli altri 364 giorni dell'anno, perché solo facendo della memoria uno strumento d’impegno e di responsabilità, si pone il seme di una nuova speranza.

 
Luoghi chieresi QR code
Luoghi chieresi QR code